UN GIORNO DI GUERRA…UN GIORNO DI SANGUE…UN GIORNO DI EROI

(da Corum dei Damira)

 

a Valle del Cupale riluceva sotto la pallida luce del sole. Protetta da un’antica ed arcana magia, era da sempre teatro di sanguinose battaglie, fuori dal tempo. Alberi rigogliosi dalle verdi foglie sorgevano vicino a contorti tronchi scheletrici, i cui rami spogli, rivolti verso il cielo, sembravano implorare gli dei di liberarli da quell’atroce maledizione.


Mentre l’armata avanzava si trovò a marciare tra questi antichi alberi custodi delle epoche passate. Un vento improvviso si alzò e saturò le narici di Edoardo il Tenace. Alla sua sinistra vide un immenso tumulo di rocce iscritte con rune. Edoardo si chiese per quanto tempo fosse rimasto lì. Forse era stato accumulato ieri, forse migliaia di anni fa. Il tempo fluiva stranamente nella Valle, lo sapeva.


Azzardò uno sguardo alle proprie spalle. Il suo esercito marciava unito e risoluto verso il luogo dove si sarebbe svolta la battaglia. “Il mio esercito…”, pensò. Gli faceva ancora uno strano effetto considerarsi il Generale di quella valorosa armata di guerrieri. Fino a tre sere prima, l’idea non lo aveva neppure sfiorato, poi, quando il Consiglio dei Capitani lo aveva eletto Generale Supremo dell’Armata che avrebbe avuto il sacro compito di abbattere la Coalizione Barbarica si era alquanto preoccupato. Successivamente, la preoccupazione aveva lasciato il posto all’orgoglio, ed ora, che poteva nuovamente ragionare a freddo era estremamente determinato a non deludere i propri guerrieri.


Il rapporto degli Scorpioni, l’unica tribù barbara dalla sua parte, e che ora fungeva da esploratrice, lo aveva alquanto preoccupato. Le stime approssimate, fatte dagli scribi, sulle dimensioni dell’esercito nemico non lo avevano minimamente preparato alla sua imponenza. Jago il Traditore, giovane capo della Tribù degli Scorpioni, eppure già il più grande guerriero del suo clan, gli aveva personalmente riferito che i barbari spuntavano dal crinale di tutte le colline li attorno e fluivano come una minacciosa marea verso la pianura. Alla loro testa era nientemeno che l’antico e risoluto Prete Re, Najash detto l’Arguto, la guida guerriera-spirituale più risoluta che l’esercito barbaro avesse mai avuto. Come se ciò non fosse già abbastanza grave, i rapporti descrivevano altre due imponenti figure che coadiuvavano Najash nel comando. Il leggendario Tigre, uno dei guerrieri più possenti tra le fila dei barbari, nonché il più grande stratega militare che la Valle del Cupale abbia mai conosciuto e il possente “Barbacorta”, che guidava una eroica tribù venuta dal nord: i Cinghiali Sanguinari. Di questo “Barbacorta”, gli Scorpioni non avevano ancora scoperto il vero nome, ma il modo in cui lo avevano descritto e avevano parlato di lui aveva fatto riaffiorare nella mente di Edoardo il ricordo di un antico guerriero….”impossibile”, si era detto.


Il Tenace tornò a concentrarsi. Non aveva tempo di rimembrare antichi ricordi, aveva un esercito da condurre alla vittoria e non avrebbe fallito. Si chiese se i suoi uomini non fossero stati condizionati dalle storie secondo cui i barbari avevano invocato l’aiuto della stregoneria e se avessero avuto il coraggio di caricare quell’infinita marea barbarica. Bene, decise, era troppo tardi per preoccuparsene. Doveva avere fiducia nel coraggio dei suoi guerrieri e nella fedeltà dei suoi Capitani. Edoardo pensò che la vista del suo esercito era qualcosa che toglieva il respiro. La spedizione per combattere l’armata barbara era la più impressionante che la Valle avesse mai accolto…


… le due armate si fronteggiarono sulla valletta sottostante l’antico Castellare. Con gli orgogliosi pennoni che garrivano al vento, l’armata “civilizzata” del Tenace prese posizione.


Sul fianco destro dell’armata, Edoardo marciava tra i ranghi dell’antica Compagnia dell’Albero. Gli stoici guerrieri di questa Compagnia, dopo l’elezione del loro Capitano a Generale, si erano ritrovati ad essere la sua guardia del corpo, uno dei compiti più onorevoli e riconosciuti per un reparto combattente. Alla loro destra il manipolo degli Scorpioni era capeggiato da Jago, che sussurrava ordini ai suoi guerrieri nella lingua della loro lontana terra.


Al fianco degli Scorpioni, marciava il nobile Francesco l’Austero, Conte di Sbaffioland. I Gasindi, la Compagnia del Conte, lo circondavano. Le spade erano già state sguainate e le loro rosse livree, portavano l’antico stemma del Giglio. Il Casato dell’Austero era forse quello più nobile ed antico. Francesco salutò Edoardo con la propria spada, cimelio della sua famiglia, la quale si diceva brillasse con la luce catturata di una stella caduta.


A sinistra del Generale, a formare il centro c’erano i guerrieri giunti dall’antica Sparta conosciuti con il nome di Lacedemoni. Molti combattenti di questa Compagnia, portavano strane maschere di bronzo raffiguranti severi visi umani. Edoardo dovette ammettere che incutevano un certo timore. Quasi a contrastare con il timore reverenziale che gli Spartani causavano, alla loro sinistra, marciava Ildurian il Bianco insieme ai suoi fratelli Elfi della Compagnia dell’Onda, splendidi nelle loro armature dorate e la loro livrea blu mare. Molti degli Elfi, erano armati con archi lunghi perfettamente bilanciati e pronti all’uso. Dietro questi ultimi faretre colme di frecce dal bianco piumaggio venivano preparate velocemente in posizione.


Di seguito c’era un’unità dalle armature nere, composta dai veterani più incalliti e feroci dell’armata. Era la temuta Guardia Nera, probabilmente l’unità più pericolosa di tutto l’esercito “civilizzato”. A loro si era unito il Cavaliere Errante Lorenzo, detto il Pacificatore, che stava orgogliosamente in mezzo ai combattenti della Guardia, scambiando battute canzonatorie con Hiroshi lo Squamato, il loro Capitano, che era uno dei migliori combattenti dell’intero esercito. Sir Lorenzo e la più famosa Guardia Nera erano vecchi rivali. Edoardo sorrise; aveva combattuto molte guerre col Pacificatore, guerriero scaltro e vigoroso, capace di ispirare gli uomini a gesta di grande eroismo, ed aveva sviluppato un certo gusto per il suo sardonico senso dell’umorismo.


Oltre la Guardia, ha formare il fianco sinistro, vi erano le Compagnie più disciplinate dell’intero esercito. I composti veterani dei Cavalieri di Serra Grande erano spalla a spalla con i possenti Feditori della Rosa Bianca. Entrambi gli Ordini Cavallereschi, additati da tutti come esempio di virtù, onore e lealtà avrebbero retto l’urto principale che il fianco sinistro avrebbe probabilmente subito. Edoardo confidava che la determinazione unita all’incrollabile disciplina delle due unità avrebbe assorbito buona parte dell’impatto. I rispettivi Capitani delle due Compagnie: Balan dell’Ordine dei Serra Grande e Corum dell’Ordine della Rosa Bianca, stavano passando in rassegna i proprio uomini, i vessilli delle due Compagnie garrivano in fronte al nemico: La croce rossa in campo nero dei Serra Grande e la rosa bianca incrociata con una spada nera in campo rosso dei Feditori.


A formare il cuneo finale del fianco sinistro, era la rispettata Compagnia dei Cardi. Famosi per la loro velocità nell’agganciare il nemico e la loro ferocia nel combatterlo, sarebbero stati il “martello” che avrebbe contrattaccato dopo che “l’incudine” avesse subito l’urto principale. I volti fieri, concentrati, non tradivano alcun segno di preoccupazione, la benché minima esitazione. Ewer, loro Capitano, stava fieramente in mezzo ai suoi guerrieri, impaziente per l’imminente scontro. Questa era una forza in grado di incutere terrore in chiunque tranne che nei nemici più coraggiosi o pazzi.


Di fronte all’armata di Edoardo c’erano i ranghi ammassati del nemico. Sulle pendici della collina si trovava il Prete Re Najash. La famosa guida dei barbari era una vista sconcertante e quando emise un cantico esso riecheggiò sull’armata barbara e spinse i guerrieri ad un innaturale estasi di terrore e venerazione.


Davanti a lui stavano file dopo file di barbari appartenenti all’antico Clan dei Leoni, con gli occhi risplendenti di un odio mai sopito. Tra i nutriti e muscolosi barbari c’era il loro Capotribù Filù. Edoardo si era trovato a fronteggiare il gigantesco guerriero in precedenza e sapeva quanto poteva essere micidiale.


Sul fianco dei Leoni, direttamente davanti alla Compagnia Elfica dell’Onda c’era un gruppo di guerrieri dall’aria tetra e che recavano strani simboli sui loro visi. Edoardo intuì che dovevano essere il Clan dei Cinghiali Sanguinari, provenienti da un imprecisato nord. Se il loro aspetto era già sufficiente a terrorizzare un normale guerriero, la cosa che più preoccupava era la figura che li guidava. Un possente guerriero armato di scure, la cui barba tinta di rosso lo identificava come il Capo di quel gruppo di spietati assassini. Quel maestoso guerriero fece riaffiorare nei ricordi di Edoardo i sospetti. Possibile che quel guerriero, sparito da anni, fosse tornato? Possibile che il leggendario Ludovico il Calvo ora fosse alleato di quei barbari?, Edoardo pensò che l’eccitazione della battaglia lo stesse facendo fantasticare.


Un nutrito gruppo di giovani barbari armati prevalentemente di asce, si trovava al fianco del Clan dei Cinghiali Sanguinari. Il totem che portavano era sormontato dalla pelle di un feroce lupo bianco. “Il Clan dei Lupi”, pensò Edoardo. Nonostante fossero un Clan giovane, la loro fama li precedeva. I Lupi erano chiaramente impazienti di entrare in contatto con il nemico e a differenza dei Cinghiali che fissavano impassibili l’armata civilizzata, sembravano una muta di lupi pronta ad essere sguinzagliata.


A formare il fianco sinistro dell’armata barbara si trovavano i caotici Vichinghi. Askall il Saggio, il loro Capo, era un veterano di centinaia di battaglie. Come la maggior parte dei suoi uomini indossava una cotta di maglia e brandiva armi rozze ma altamente letali. I Vichinghi erano direttamente di fronte a Edoardo e alla sua Guardia dell’Albero. A quanto pareva, sarebbe toccato a loro affrontare la brutale carica dei Vichinghi. Edoardo apostrofò parole di conforto ai suoi guerrieri, leggendone una leggera preoccupazione nel volto.


A sinistra dei Vichinghi si trovavano i Grifoni del Perusio. Vestivano corti kilt gialli e neri ed erano guidati dall’incrollabile Furestix. Il Clan dei Grifoni era famoso per la sua velocità di accerchiamento ed Edoardo non si stupì che il Prete Re li avesse schierati sulla fascia esterna. Avrebbero sicuramente cercato l’accerchiamento sul quel fianco. Edoardo guardò nella direzione del Conte Francesco. Il Capitano dei Gasindi aveva il compito di impedire tale manovra e difatti, Edoardo constatò, stava velocemente riposizionando i suoi uomini per quell’eventualità. L’Austero aveva evidentemente capito cosa i Grifoni avrebbero tentato di fare e la sua esperienza gli aveva fatto prendere immediati provvedimenti. Edoardo benedì quell’esperienza.


A formare il fianco destro dell’esercito barbarico, erano schierati i leggendari Cacciatori di Orione. Indossando livree verdi e protetti da armature d’ottone brunito erano probabilmente la Compagnia più disciplinata dell’intera armata barbara. Purtroppo, Edoardo dovette ammettere a se stesso, che la loro disciplina era uguagliata solo dalla loro maestria nell’uso delle armi e quando aveva saputo che i Cacciatori di Orione si erano alleati alla coalizione barbarica aveva maledetto tutti gli dei che conosceva. I Cacciatori di Orione non conoscevano la parola sconfitta da innumerevoli anni, ed Edoardo sperò che il fianco sinistro della sua armata gliela avesse fatta ricordare, o sarebbero tutti stati spacciati.


Come se la sola presenza dei Cacciatori di Orione già non fosse motivo di allarme da quel fronte, il leggendario Tigre del Castellare, passeggiava stoicamente avanti e indietro osservando attentamente l’armata civilizzata. Il più grande stratega militare di tutti i tempi, nonché uno dei più devastanti guerrieri che la Valle avesse mai partorito valeva un esercito da solo. Armato di una lunga picca e protetto da una collana protettiva più antica della valle stessa, sarebbe stato la punta dell’attacco del fianco destro dell’esercito barbarico.


Infine, a chiudere l’armata del Prete Re, era l’ultimo Clan barbarico di quella maledetta coalizione. Ultimo non certo per forza in battaglia. Si trattava del Clan degli Ippocampi, grandi navigatori e combattenti eccezionali, che potevano battersi sulla terraferma, con la stessa abilità con la quale si battevano nei ponti delle loro navi. Zampanino detto piè Veloce ne era il comandante e si raccontavano strane storie sul suo conto, imprese talmente leggendarie da risultare inverosimili, ma se era vero che in ogni leggenda c’era un pizzico di verità, quel piè Veloce e i suoi guerrieri non avrebbero dovuto essere sottovalutati.


Edoardo il Tenace, fissò nuovamente la sua armata con rinnovato orgoglio. Loro erano guerrieri. La loro intera vita era portata a giorni come quello. Se sarebbero morti, sarebbero morti combattendo. Non c’era morte migliore per loro. Per l’ennesima volta, la Valle del Cupale richiedeva un tributo di sangue, non vedendo motivi per farla attendere ancora, Edoardo alzò la propria spada in cielo e abbassandola velocemente diede l’ordine alla sua armata di avanzare.


No, si disse, quello non era un giorno maledetto. Quello era un giorno di guerra….un giorno di sangue…un giorno di eroi…